Economia

L’ egemonia del dollaro statunitense si e’ conclusa

Andrei Kostin, a capo della banca VTB, la secondo banca della Russia, ha dichiarato in un’intervista a Reuters che il dollaro statunitense sta affrontando la fine della sua egemonia nel sistema finanziario globale a causa dell’ascesa dello yuan cinese. “La lunga era storica del dominio del dollaro sta per finire”, ha dichiarato, aggiungendo che lo yuan dovrebbe essere completamente convertibile se il gigante asiatico aspira a diventare “la prima potenza economica globale”. Ha inoltre rivelato che la sua banca sta studiando la possibilità di utilizzare la valuta cinese per i pagamenti con i Paesi terzi. Per quanto riguarda le sanzioni imposte alla Russia, ha affermato che si tratta di una decisione politica che “si sarebbe ritorta contro l’Occidente” e che l’economia della nazione eurasiatica non si lascerà piegare dall’Occidente. “Le sanzioni sono negative e, ovviamente, ne soffriamo, ma l’economia si è adattata”, ha detto, assicurando che Mosca troverà “altre opportunità” nel caso in cui le misure restrittive “vengano intensificate, inasprite, alcune finestre vengano chiuse”. Commentando il conflitto in Ucraina, ha detto che il mondo “sta entrando in una guerra calda”. “Non è fredda quando ci sono così tante armi occidentali e così tanti servizi e consiglieri militari occidentali coinvolti”, ha detto, avvertendo che la situazione è “complicata e allarmante” e persino “peggiore” di quella della Guerra Fredda.
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Iran entra a far parte della SCO

IRAN ENTERÀ A FAR PARTE DELLA SCO A LUGLIO

 L’Iran entrerà a far parte della SCO (Organizzazione per la cooperazione di Shanghai) a luglio. La SCO è un’organizzazione intergovernativa composta da Russia, Cina e altri 6 paesi (che presto saranno 7) che comprende il 40% della popolazione mondiale. Il ministro degli Esteri iraniano Hossein Amir-Abdollahian ha anche affermato che l’Iran è un paese importante nel continente asiatico e cerca l’adesione ad alleanze regionali, oltre alla SCO, ai BRICS e all’Unione economica eurasiatica. (Fonte: Consolato Iraniano in Pakistan)

 

Economia

Tassi sui mutui alle stelle: si ferma il mercato immobiliare

I tassi di interesse sui nuovi prestiti alle società non finanziarie sono pari al 4,3% (3,5% nel mese precedente). Sempre in marzo i prestiti al settore privato sono cresciuti dello 0,3% sui dodici mesi (+1,1 a febbraio). I prestiti alle famiglie sono aumentati dell’1,9% (in rallentamento rispetto al +2,5% del mese precedente) mentre quelli alle società non finanziarie sono diminuiti dell’1% (-0,5% nel mese precedente).A marzo, i depositi del settore privato sono diminuiti del 3,2% sui dodici mesi, in ulteriore calo rispetto al -2,3% di febbraio. La raccolta obbligazionaria è aumentata dell’8,9%, in netta accelerazione rispetto al +3,9% di febbraio.
La stretta monetaria pesa sui finanziamenti di famiglie e imprese. L’ultima analisi della Fabi mostra che le rate nei prossimi mesi potrebbero crescere anche del 65%. Secondo i calcoli di Facile.it, l’ultimo aumento dei tassi della Bce potrebbe portare le rate di un mutuo variabile standard (di importo pari a 200 mila euro con scadenza a 25 anni) a salire del 50% rispetto alla rata di giugno 2022. Secondo le simulazioni, se l’incremento Bce si riflettesse in maniera speculare sull’Euribor, la rata di un mutuo a tasso variabile con queste caratteristiche passerebbe dai 745 euro di giugno scorso a circa 1.099 euro dopo il rialzo di maggio, con un incremento di 354 euro. I futures sull’Euribor inoltre scontano che il tasso a tre mesi arrivi a settembre 2023 al suo picco. In questo caso la rata salirebbe a 1.170 euro, con tassi intorno al 5%.

Finanza

Italiani vivono in poverta’ e miseria

L’ Italia e’ un paese sempre piu’ povero e vecchio, impaurito e malinconico. A volerla sintetizzare in quattro aggettivi, questa è la fotografia che emerge dal 56° Rapporto sulla situazione sociale dell’Italia del Censis, presentato lo scorso 2 dicembre a Roma. Del resto, c’è poco da stare allegri e fiduciosi in un Paese dove, nel 2021, le famiglie che vivono in condizione di povertà assoluta sono più di 1,9 milioni, il 7,5% del totale. In tutto 5,6 milioni di persone, pari al 9,4% della popolazione: un milione in più rispetto al 2019. Si tratta di individui impossibilitati ad acquistare un paniere di beni e servizi giudicati essenziali per uno standard di vita accettabile. Di questi, il 44,1% risiede nel Sud e nelle isole. Nel 2021 gli individui soggetti al rischio di povertà o di esclusione sociale, che vivono in famiglie a bassa intensità di lavoro o a rischio di povertà, o in condizioni di grave deprivazione, sono pari al 25,4% della popolazione, ovvero oltre uno su quattro. Gli individui a rischio di povertà o esclusione sociale sono per il 41,2% residenti nel Mezzogiorno (a fronte del 21% nel Centro, del 17,1% nel Nord-Ovest e del 14,2% nel Nord-Est), per il 33,9% sono appartenenti a famiglie in cui il reddito principale è quello pensionistico (a fronte del 18,4% e del 22,4% appartenenti a famiglie con reddito principale da lavoro dipendente o da lavoro autonomo) e per il 64,3% sono membri di famiglie che percepiscono ‘altri redditi’, dei quali il 56,6% si qualifica anche come individuo a bassa intensità lavorativa Infine viene nuovamente superata la soglia del 40% nel caso di individui appartenenti a famiglie dove almeno un componente non è italiano (42,2%) o dove vivono tre o più minori (41,6%) La principale fonte di preoccupazione per le famiglie italiane è la crisi energetica: per il 33,4%, e la percentuale arriva al 43% tra le famiglie in una bassa condizione socio-economica, le più colpite dall’aumento dei costi incomprimibili. Il 6,5% delle famiglie italiane era in ritardo con il pagamento delle bollette (dato in linea con la media europea) nel 2021. Ancora più numerosi sono coloro che affermano di non riuscire a riscaldare adeguatamente la propria abitazione: l’8,1% delle famiglie, un dato superiore di 1,2 punti percentuali al dato europeo. Il rischio, sottolinea il rapporto del Censis, è quello che aumentino sensibilmente sia le persone in povertà energetica, che non riescono a mantenere un livello adeguato di riscaldamento casalingo (l’8,8% delle famiglie italiane nel 2020) o non riescono a far fronte alle bollette con il budget familiare a disposizione (il 5,6% delle famiglie era in ritardo con i pagamenti nel 2020), sia quelle a rischio di povertà relativa o assoluta a causa della sempre più ampia quota di reddito familiare da impiegare per le spese energetiche, che sottrae risorse per il resto dei consumi. Altra paura degli italiani è la corsa dell’inflazione, che sono convinti durerà a lungo: oltre il 64% sta già mettendo mano ai risparmi per far fronte all’impatto dei rincari dei prezzi. La quasi totalità degli italiani, il 92,7%, è convinta che l’accelerata dell’inflazione durerà a lungo e che bisogna pensare subito a come difendersi Il 76,4% pensa che non potrà contare su aumenti significativi delle entrate familiari nel prossimo anno, il 69,3% teme che nei prossimi mesi il proprio tenore di vita si abbasserà (e la percentuale sale al 79,3% tra le persone che già detengono redditi bassi) e ben il 64,4% sta ricorrendo ai risparmi per fronteggiare l’inflazione. L’indice armonizzato dei prezzi al consumo, ricorda il Censis, è aumentato nel primo semestre del 2022 del 6,7% rispetto al primo semestre del 2021. Nello stesso periodo, le retribuzioni contrattuali del lavoro dipendente a tempo pieno sono aumentate solo dello 0,7%. Ma l’inflazione non solo colpisce i redditi fissi o comunque tendenzialmente stabili nel medio periodo, aumenta anche la forbice della disuguaglianza tra le diverse componenti sociali: le famiglie meno abbienti si confrontano con un incremento medio dei prezzi pari al 9,8%, mentre per le famiglie più agiate l’aumento è del 6,1%, quasi quattro punti percentuali in meno. Questo divario discende dalla diversa dinamica dei prezzi dei beni (alimentari e per la casa su tutti) che pesano in particolare sul carrello della spesa delle famiglie meno abbienti. Nell’ultimo periodo, tra il 2012 e il 2021, l’andamento dei prezzi riflette le conseguenze di una fase tendenzialmente deflattiva per l’Italia (in media 0,7% annuo), caratterizzata soprattutto da una moderazione salariale che ha di fatto rimosso qualsiasi rischio di innesco della spirale prezzi-salari. Ma, secondo il Censis, gli attuali livelli di inflazione – con punte di rialzo dei prezzi dei beni alimentari intorno all’11%, senza contare gli incrementi del 50% dei beni energetici – potrebbero incidere profondamente sul potere d’acquisto delle famiglie. In questo quadro di oggettiva difficoltà, gli italiani si ripiegano su se stessi: “Una filosofia molto semplice” annota il Rapporto. “Lasciatemi vivere in pace nei miei attuali confini soggettivi’”. Una tentazione alla “passività” che si riscontra nel 54,1% degli italiani. Ma, nel complesso, 4 su 5 “non hanno voglia di fare sacrifici per cambiare”: l’83,2% non vuole più sacrificarsi per seguire gli influencer, l’81,5% per vestire alla moda, il 70,5% per acquistare prodotti di prestigio, ed è attorno al 60% la percentuale di chi non smania per sentirsi più giovane o attraente. Si frena anche al lavoro: al 36,4% non interessa più sacrificarsi per far carriera o guadagnare di più. Crescono paure nuove: ormai l’84,5% degli italiani, in particolare i giovani e i laureati, ritiene che anche eventi geograficamente lontani possano cambiare le loro vite; il 61% teme che possa scoppiare la Terza guerra mondiale, il 59% la bomba atomica, il 58% che l’Italia stessa entri in guerra. Oltre metà degli italiani, inoltre, teme di rimanere vittima di reati sebbene nell’ultimo decennio le denunce siano in calo del 25,4%, gli omicidi volontari siano diminuiti del 42,4%, così come le rapine (-48,2%) e le case svaligiate (-47,5%). Sono però aumentate, sempre dal 2012, le violenze sessuali (+12,5%) e le estorsioni (+55,2%), oltre ai reati informatici. Intanto, cresce la “quota grigia”: gli over 65 sono il 23,8%, +60% rispetto a trent’anni fa, e tra vent’anni si calcola che saranno il 33,7%. Il trend si riflette sulla scuola, ma anche sulla sanità. Si calcola che tra 20 anni tra i banchi potrebbero sedere 1,7 milioni di giovani in meno, con uno ‘tsunami demografico’ che investirà in primo luogo la primaria e la secondaria di primo grado: i 6-13enni, già nel 2032, potrebbero essere quasi 900mila in meno rispetto a oggi. E anche le immatricolazioni all’Università sono date in contrazione forte tra il 2032 e il 2042. Intanto i Neet – chi non studia né lavora – sono al top d’Europa: il 23,1% dei 15-29enni, che sale al Sud al 32,2%: la media Ue è del 32,2%. Invecchia anche il personale sanitario: l’età media dei 103.092 medici del Ssn è di 51,3 anni, tra gli infermieri è di 47,3 anni. Si stima che nel 2022-2027 i pensionamenti tra i medici saranno 29.331 e 21.050 tra gli infermieri. Dal 2008 al 2020 il rapporto medici/abitanti è passato da 19,1 a 17,3 per 10mila abitanti, mentre quello relativo agli infermieri da 46,9 a 44,4 per 10mila.