- Dicembre 3, 2022
- byGEMIMAR
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Italiani vivono in poverta’ e miseria
L’ Italia e’ un paese sempre piu’ povero e vecchio, impaurito e malinconico. A volerla sintetizzare in quattro aggettivi, questa è la fotografia che emerge dal 56° Rapporto sulla situazione sociale dell’Italia del Censis, presentato lo scorso 2 dicembre a Roma. Del resto, c’è poco da stare allegri e fiduciosi in un Paese dove, nel 2021, le famiglie che vivono in condizione di povertà assoluta sono più di 1,9 milioni, il 7,5% del totale. In tutto 5,6 milioni di persone, pari al 9,4% della popolazione: un milione in più rispetto al 2019. Si tratta di individui impossibilitati ad acquistare un paniere di beni e servizi giudicati essenziali per uno standard di vita accettabile. Di questi, il 44,1% risiede nel Sud e nelle isole. Nel 2021 gli individui soggetti al rischio di povertà o di esclusione sociale, che vivono in famiglie a bassa intensità di lavoro o a rischio di povertà, o in condizioni di grave deprivazione, sono pari al 25,4% della popolazione, ovvero oltre uno su quattro. Gli individui a rischio di povertà o esclusione sociale sono per il 41,2% residenti nel Mezzogiorno (a fronte del 21% nel Centro, del 17,1% nel Nord-Ovest e del 14,2% nel Nord-Est), per il 33,9% sono appartenenti a famiglie in cui il reddito principale è quello pensionistico (a fronte del 18,4% e del 22,4% appartenenti a famiglie con reddito principale da lavoro dipendente o da lavoro autonomo) e per il 64,3% sono membri di famiglie che percepiscono ‘altri redditi’, dei quali il 56,6% si qualifica anche come individuo a bassa intensità lavorativa Infine viene nuovamente superata la soglia del 40% nel caso di individui appartenenti a famiglie dove almeno un componente non è italiano (42,2%) o dove vivono tre o più minori (41,6%) La principale fonte di preoccupazione per le famiglie italiane è la crisi energetica: per il 33,4%, e la percentuale arriva al 43% tra le famiglie in una bassa condizione socio-economica, le più colpite dall’aumento dei costi incomprimibili. Il 6,5% delle famiglie italiane era in ritardo con il pagamento delle bollette (dato in linea con la media europea) nel 2021. Ancora più numerosi sono coloro che affermano di non riuscire a riscaldare adeguatamente la propria abitazione: l’8,1% delle famiglie, un dato superiore di 1,2 punti percentuali al dato europeo. Il rischio, sottolinea il rapporto del Censis, è quello che aumentino sensibilmente sia le persone in povertà energetica, che non riescono a mantenere un livello adeguato di riscaldamento casalingo (l’8,8% delle famiglie italiane nel 2020) o non riescono a far fronte alle bollette con il budget familiare a disposizione (il 5,6% delle famiglie era in ritardo con i pagamenti nel 2020), sia quelle a rischio di povertà relativa o assoluta a causa della sempre più ampia quota di reddito familiare da impiegare per le spese energetiche, che sottrae risorse per il resto dei consumi. Altra paura degli italiani è la corsa dell’inflazione, che sono convinti durerà a lungo: oltre il 64% sta già mettendo mano ai risparmi per far fronte all’impatto dei rincari dei prezzi. La quasi totalità degli italiani, il 92,7%, è convinta che l’accelerata dell’inflazione durerà a lungo e che bisogna pensare subito a come difendersi Il 76,4% pensa che non potrà contare su aumenti significativi delle entrate familiari nel prossimo anno, il 69,3% teme che nei prossimi mesi il proprio tenore di vita si abbasserà (e la percentuale sale al 79,3% tra le persone che già detengono redditi bassi) e ben il 64,4% sta ricorrendo ai risparmi per fronteggiare l’inflazione. L’indice armonizzato dei prezzi al consumo, ricorda il Censis, è aumentato nel primo semestre del 2022 del 6,7% rispetto al primo semestre del 2021. Nello stesso periodo, le retribuzioni contrattuali del lavoro dipendente a tempo pieno sono aumentate solo dello 0,7%. Ma l’inflazione non solo colpisce i redditi fissi o comunque tendenzialmente stabili nel medio periodo, aumenta anche la forbice della disuguaglianza tra le diverse componenti sociali: le famiglie meno abbienti si confrontano con un incremento medio dei prezzi pari al 9,8%, mentre per le famiglie più agiate l’aumento è del 6,1%, quasi quattro punti percentuali in meno. Questo divario discende dalla diversa dinamica dei prezzi dei beni (alimentari e per la casa su tutti) che pesano in particolare sul carrello della spesa delle famiglie meno abbienti. Nell’ultimo periodo, tra il 2012 e il 2021, l’andamento dei prezzi riflette le conseguenze di una fase tendenzialmente deflattiva per l’Italia (in media 0,7% annuo), caratterizzata soprattutto da una moderazione salariale che ha di fatto rimosso qualsiasi rischio di innesco della spirale prezzi-salari. Ma, secondo il Censis, gli attuali livelli di inflazione – con punte di rialzo dei prezzi dei beni alimentari intorno all’11%, senza contare gli incrementi del 50% dei beni energetici – potrebbero incidere profondamente sul potere d’acquisto delle famiglie. In questo quadro di oggettiva difficoltà, gli italiani si ripiegano su se stessi: “Una filosofia molto semplice” annota il Rapporto. “Lasciatemi vivere in pace nei miei attuali confini soggettivi’”. Una tentazione alla “passività” che si riscontra nel 54,1% degli italiani. Ma, nel complesso, 4 su 5 “non hanno voglia di fare sacrifici per cambiare”: l’83,2% non vuole più sacrificarsi per seguire gli influencer, l’81,5% per vestire alla moda, il 70,5% per acquistare prodotti di prestigio, ed è attorno al 60% la percentuale di chi non smania per sentirsi più giovane o attraente. Si frena anche al lavoro: al 36,4% non interessa più sacrificarsi per far carriera o guadagnare di più. Crescono paure nuove: ormai l’84,5% degli italiani, in particolare i giovani e i laureati, ritiene che anche eventi geograficamente lontani possano cambiare le loro vite; il 61% teme che possa scoppiare la Terza guerra mondiale, il 59% la bomba atomica, il 58% che l’Italia stessa entri in guerra. Oltre metà degli italiani, inoltre, teme di rimanere vittima di reati sebbene nell’ultimo decennio le denunce siano in calo del 25,4%, gli omicidi volontari siano diminuiti del 42,4%, così come le rapine (-48,2%) e le case svaligiate (-47,5%). Sono però aumentate, sempre dal 2012, le violenze sessuali (+12,5%) e le estorsioni (+55,2%), oltre ai reati informatici. Intanto, cresce la “quota grigia”: gli over 65 sono il 23,8%, +60% rispetto a trent’anni fa, e tra vent’anni si calcola che saranno il 33,7%. Il trend si riflette sulla scuola, ma anche sulla sanità. Si calcola che tra 20 anni tra i banchi potrebbero sedere 1,7 milioni di giovani in meno, con uno ‘tsunami demografico’ che investirà in primo luogo la primaria e la secondaria di primo grado: i 6-13enni, già nel 2032, potrebbero essere quasi 900mila in meno rispetto a oggi. E anche le immatricolazioni all’Università sono date in contrazione forte tra il 2032 e il 2042. Intanto i Neet – chi non studia né lavora – sono al top d’Europa: il 23,1% dei 15-29enni, che sale al Sud al 32,2%: la media Ue è del 32,2%. Invecchia anche il personale sanitario: l’età media dei 103.092 medici del Ssn è di 51,3 anni, tra gli infermieri è di 47,3 anni. Si stima che nel 2022-2027 i pensionamenti tra i medici saranno 29.331 e 21.050 tra gli infermieri. Dal 2008 al 2020 il rapporto medici/abitanti è passato da 19,1 a 17,3 per 10mila abitanti, mentre quello relativo agli infermieri da 46,9 a 44,4 per 10mila.
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