Finanza

TOKIO ABBANDONA I TREASURY

Mentre l’inflazione americana aveva origini fiscali, essendo determinata da un eccesso di spesa pubblica finanziata in disavanzo ed in un contesto di bassa disoccupazione, la Fed ha adottato misure di violenta restrizione monetaria, aumentando i tassi e riducendo la liquidità: così facendo, ha destabilizzato in molti Paesi la allocazione dei capitali, il sistema dei cambi e quello dei tassi di interesse. Ed è stato il Giappone a risentire più di ogni altro Paese di questo orientamento della Fed: c’è stato un vero e proprio crollo delle sue detenzioni di Treasury, che sono passate in un anno da 1.229 a 1.088 miliardi di dollari. La riduzione di 141 miliardi è stata praticamente identica a quella della Cina, che è stata di 144 miliardi. Nel caso del Giappone, la tendenza dello yen a svalutarsi rispetto al dollaro ha infatti aumentato notevolmente il costo della copertura contro questo rischio, arrivando ad eguagliare il tasso di rendimento dei Treasury: non valeva più la pena tenere fermi lì i capitali. Si è rotto un equilibrio di interessi reciprocamente vantaggiosi tra Giappone e Stati Uniti che durava da decenni, con i giapponesi che sono stati sempre grandi acquirenti di titoli americani ritornando ad essere i primi creditori dopo che la Cina ha smesso di investire in Treasury.

Finanza

Italiani vivono in poverta’ e miseria

L’ Italia e’ un paese sempre piu’ povero e vecchio, impaurito e malinconico. A volerla sintetizzare in quattro aggettivi, questa è la fotografia che emerge dal 56° Rapporto sulla situazione sociale dell’Italia del Censis, presentato lo scorso 2 dicembre a Roma. Del resto, c’è poco da stare allegri e fiduciosi in un Paese dove, nel 2021, le famiglie che vivono in condizione di povertà assoluta sono più di 1,9 milioni, il 7,5% del totale. In tutto 5,6 milioni di persone, pari al 9,4% della popolazione: un milione in più rispetto al 2019. Si tratta di individui impossibilitati ad acquistare un paniere di beni e servizi giudicati essenziali per uno standard di vita accettabile. Di questi, il 44,1% risiede nel Sud e nelle isole. Nel 2021 gli individui soggetti al rischio di povertà o di esclusione sociale, che vivono in famiglie a bassa intensità di lavoro o a rischio di povertà, o in condizioni di grave deprivazione, sono pari al 25,4% della popolazione, ovvero oltre uno su quattro. Gli individui a rischio di povertà o esclusione sociale sono per il 41,2% residenti nel Mezzogiorno (a fronte del 21% nel Centro, del 17,1% nel Nord-Ovest e del 14,2% nel Nord-Est), per il 33,9% sono appartenenti a famiglie in cui il reddito principale è quello pensionistico (a fronte del 18,4% e del 22,4% appartenenti a famiglie con reddito principale da lavoro dipendente o da lavoro autonomo) e per il 64,3% sono membri di famiglie che percepiscono ‘altri redditi’, dei quali il 56,6% si qualifica anche come individuo a bassa intensità lavorativa Infine viene nuovamente superata la soglia del 40% nel caso di individui appartenenti a famiglie dove almeno un componente non è italiano (42,2%) o dove vivono tre o più minori (41,6%) La principale fonte di preoccupazione per le famiglie italiane è la crisi energetica: per il 33,4%, e la percentuale arriva al 43% tra le famiglie in una bassa condizione socio-economica, le più colpite dall’aumento dei costi incomprimibili. Il 6,5% delle famiglie italiane era in ritardo con il pagamento delle bollette (dato in linea con la media europea) nel 2021. Ancora più numerosi sono coloro che affermano di non riuscire a riscaldare adeguatamente la propria abitazione: l’8,1% delle famiglie, un dato superiore di 1,2 punti percentuali al dato europeo. Il rischio, sottolinea il rapporto del Censis, è quello che aumentino sensibilmente sia le persone in povertà energetica, che non riescono a mantenere un livello adeguato di riscaldamento casalingo (l’8,8% delle famiglie italiane nel 2020) o non riescono a far fronte alle bollette con il budget familiare a disposizione (il 5,6% delle famiglie era in ritardo con i pagamenti nel 2020), sia quelle a rischio di povertà relativa o assoluta a causa della sempre più ampia quota di reddito familiare da impiegare per le spese energetiche, che sottrae risorse per il resto dei consumi. Altra paura degli italiani è la corsa dell’inflazione, che sono convinti durerà a lungo: oltre il 64% sta già mettendo mano ai risparmi per far fronte all’impatto dei rincari dei prezzi. La quasi totalità degli italiani, il 92,7%, è convinta che l’accelerata dell’inflazione durerà a lungo e che bisogna pensare subito a come difendersi Il 76,4% pensa che non potrà contare su aumenti significativi delle entrate familiari nel prossimo anno, il 69,3% teme che nei prossimi mesi il proprio tenore di vita si abbasserà (e la percentuale sale al 79,3% tra le persone che già detengono redditi bassi) e ben il 64,4% sta ricorrendo ai risparmi per fronteggiare l’inflazione. L’indice armonizzato dei prezzi al consumo, ricorda il Censis, è aumentato nel primo semestre del 2022 del 6,7% rispetto al primo semestre del 2021. Nello stesso periodo, le retribuzioni contrattuali del lavoro dipendente a tempo pieno sono aumentate solo dello 0,7%. Ma l’inflazione non solo colpisce i redditi fissi o comunque tendenzialmente stabili nel medio periodo, aumenta anche la forbice della disuguaglianza tra le diverse componenti sociali: le famiglie meno abbienti si confrontano con un incremento medio dei prezzi pari al 9,8%, mentre per le famiglie più agiate l’aumento è del 6,1%, quasi quattro punti percentuali in meno. Questo divario discende dalla diversa dinamica dei prezzi dei beni (alimentari e per la casa su tutti) che pesano in particolare sul carrello della spesa delle famiglie meno abbienti. Nell’ultimo periodo, tra il 2012 e il 2021, l’andamento dei prezzi riflette le conseguenze di una fase tendenzialmente deflattiva per l’Italia (in media 0,7% annuo), caratterizzata soprattutto da una moderazione salariale che ha di fatto rimosso qualsiasi rischio di innesco della spirale prezzi-salari. Ma, secondo il Censis, gli attuali livelli di inflazione – con punte di rialzo dei prezzi dei beni alimentari intorno all’11%, senza contare gli incrementi del 50% dei beni energetici – potrebbero incidere profondamente sul potere d’acquisto delle famiglie. In questo quadro di oggettiva difficoltà, gli italiani si ripiegano su se stessi: “Una filosofia molto semplice” annota il Rapporto. “Lasciatemi vivere in pace nei miei attuali confini soggettivi’”. Una tentazione alla “passività” che si riscontra nel 54,1% degli italiani. Ma, nel complesso, 4 su 5 “non hanno voglia di fare sacrifici per cambiare”: l’83,2% non vuole più sacrificarsi per seguire gli influencer, l’81,5% per vestire alla moda, il 70,5% per acquistare prodotti di prestigio, ed è attorno al 60% la percentuale di chi non smania per sentirsi più giovane o attraente. Si frena anche al lavoro: al 36,4% non interessa più sacrificarsi per far carriera o guadagnare di più. Crescono paure nuove: ormai l’84,5% degli italiani, in particolare i giovani e i laureati, ritiene che anche eventi geograficamente lontani possano cambiare le loro vite; il 61% teme che possa scoppiare la Terza guerra mondiale, il 59% la bomba atomica, il 58% che l’Italia stessa entri in guerra. Oltre metà degli italiani, inoltre, teme di rimanere vittima di reati sebbene nell’ultimo decennio le denunce siano in calo del 25,4%, gli omicidi volontari siano diminuiti del 42,4%, così come le rapine (-48,2%) e le case svaligiate (-47,5%). Sono però aumentate, sempre dal 2012, le violenze sessuali (+12,5%) e le estorsioni (+55,2%), oltre ai reati informatici. Intanto, cresce la “quota grigia”: gli over 65 sono il 23,8%, +60% rispetto a trent’anni fa, e tra vent’anni si calcola che saranno il 33,7%. Il trend si riflette sulla scuola, ma anche sulla sanità. Si calcola che tra 20 anni tra i banchi potrebbero sedere 1,7 milioni di giovani in meno, con uno ‘tsunami demografico’ che investirà in primo luogo la primaria e la secondaria di primo grado: i 6-13enni, già nel 2032, potrebbero essere quasi 900mila in meno rispetto a oggi. E anche le immatricolazioni all’Università sono date in contrazione forte tra il 2032 e il 2042. Intanto i Neet – chi non studia né lavora – sono al top d’Europa: il 23,1% dei 15-29enni, che sale al Sud al 32,2%: la media Ue è del 32,2%. Invecchia anche il personale sanitario: l’età media dei 103.092 medici del Ssn è di 51,3 anni, tra gli infermieri è di 47,3 anni. Si stima che nel 2022-2027 i pensionamenti tra i medici saranno 29.331 e 21.050 tra gli infermieri. Dal 2008 al 2020 il rapporto medici/abitanti è passato da 19,1 a 17,3 per 10mila abitanti, mentre quello relativo agli infermieri da 46,9 a 44,4 per 10mila.